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Qualità dalla A alla Zeta dei prodotti dell’Abruzzo - Info Point Regione Abruzzo

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Qualità dalla A alla Zeta dei prodotti dell’Abruzzo

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La qualità dei prodotti dell'Abruzzo dalla A alla Zeta

Da clandestino a bordo, prezioso ospite non dichiarato in cantine prestigiose di molte aree rinomate d'Italia (e non solo...), a best seller nazionale: 13 milioni di bottiglie vendute nel 2006, primo vino con riferimento al vitigno in etichetta, e (dato recentissimo) vino sul podio, con Chianti e Nero d'Avola, come più venduto nella nuova grande distribuzione organizzata, quella con i banchi da vino lunghi decine di metri e gli armadi climatizzati per serbare e proporre al meglio i migliori, i top nazionali: quella, insomma, dove non manca più nessuna, o quasi, delle etichette-leggenda di Toscana e Piemonte. Un bel lavoro (“well done”, ben fatto, direbbero oltreoceano, dove pure i dati di export sono assolutamente rilevanti) quello del Montepulciano d'Abruzzo, uva bandiera di queste terre, e già uva-risorsa di altre. Oggi il vino che se ne ricava gioca in casa, non più esule, a carte ed etichette scoperte. E lo seguono in trenino, pur se non con pari impeto, il Trebbiano e, soprattutto, le nuove nicchie: il Cerasuolo, in spolvero evidente e il Pecorino, riscoperta e insieme new entry di successo. Quanto all'olio, “compare” di collina della vigna di qualità, trova nei tanti olivicoltori appassionati (45.000 gli ettari olivetati) la piena valorizzazione delle varietà locali: dritta, gentile di Chieti e più rare cultivar locali come tortiglione, nebbio, intosso con le arciclassiche leccino (soprattutto) e frantoio (a distanza). Gli extravergine abruzzesi non vanno di certo più sdoganati, semmai ancor più valorizzati sul mercato italiano dopo i tanti successi sul mercato mondiale. A braccetto con le eccellenze della gastronomia (e la nuova visione dei migliori operatori della ristorazione) anche gli extravergine danno l'assalto al cielo. Che il vigneto Abruzzo, in buona parte, da qualche lustro già sfiora o tocca con un dito.
Vino e Olio: l’eccellenza autentica dell’Abruzzo
Da prodotto “clandestino” in botti di prestigiose cantine italiane a protagonista indiscusso del panorama enologico nazionale, il Montepulciano d’Abruzzo rappresenta oggi uno dei simboli più riconoscibili e amati della regione. Con milioni di bottiglie vendute e una reputazione consolidata anche all’estero, questo vino ha saputo imporsi per carattere e qualità, diventando una delle etichette più apprezzate nella grande distribuzione accanto a nomi storici come il Chianti e il Nero d’Avola. L’uva bandiera d’Abruzzo non è più una risorsa “in prestito”, ma una vera identità territoriale, capace di raccontare la storia e la passione di generazioni di viticoltori. Accanto al Montepulciano, il Trebbiano d’Abruzzo continua a distinguersi per eleganza e versatilità, mentre nuove varietà come il Cerasuolo e il Pecorino stanno conquistando spazio e consensi, testimoniando la vitalità e la continua evoluzione del panorama vinicolo regionale.
Se il vino è l’anima del territorio, l’olio ne rappresenta la linfa più pura. In Abruzzo, oltre 45.000 ettari di oliveti disegnano il paesaggio collinare, dove la tradizione contadina si fonde con la ricerca della qualità. Le cultivar autoctone — come la Dritta, la Gentile di Chieti, il Tortiglione, il Nebbio e l’Intosso — insieme alle più diffuse Leccino e Frantoio, danno vita a oli extravergine di straordinaria finezza e intensità aromatica. Oggi gli extravergini abruzzesi non hanno più bisogno di presentazioni: pluripremiati e riconosciuti nel mondo, rappresentano un’eccellenza da valorizzare sempre di più anche sul mercato nazionale. Frutto di una filiera rispettosa e di una passione autentica, il vino e l’olio d’Abruzzo continuano a crescere insieme, ambasciatori di una terra che sa trasformare il lavoro e la natura in pura eccellenza.


Una delle varietà più conosciute ed apprezzate di questa pianta erbacea è quella coltivata nella Valle Peligna -Solimo o aglio rosso di Sulmona- per l’elevata qualità dei suoi oli essenziali e la penetrante delicatezza degli aromi. Si tratta di un aglio veramente unico, che non ha riscontro nelle altre due qualità, rosa e bianco, solitamente coltivate in Italia. La pelle esterna, infatti, è bianca, ma quella interna che avvolge gli spicchi è di un rosso quasi porpora. Si pianta, generalmente, in autunno inoltrato e si raccoglie all’inizio dell’estate.
Aglio Rosso di Sulmona: il tesoro aromatico della Valle Peligna
L’Aglio Rosso di Sulmona è una delle eccellenze più pregiate dell’agricoltura abruzzese, un prodotto unico che affonda le sue radici nella fertile Valle Peligna. Questa varietà, riconoscibile per il caratteristico colore rosso porpora che avvolge i suoi spicchi, si distingue per l’elevata concentrazione di oli essenziali e per l’aroma intenso ma raffinato, capace di impreziosire ogni piatto senza sovrastarlo. Diverso dalle comuni varietà bianche o rosa coltivate in altre regioni italiane, l’aglio rosso di Sulmona è il risultato di un equilibrio perfetto tra tradizione contadina e condizioni ambientali favorevoli, con terreni ricchi e un clima che ne esaltano le qualità organolettiche. La semina avviene generalmente tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno, mentre la raccolta si effettua all’inizio dell’estate, seguendo ancora oggi metodi manuali tramandati nel tempo. Questo straordinario prodotto, simbolo di autenticità e identità territoriale, rappresenta non solo un ingrediente di valore per la cucina, ma anche un emblema della cultura agricola e della biodiversità dell’Abruzzo.
«Il piatto italiano che le piace di più »? Heinz Beck, magnifico chef della Pergola dell’Hotel Hilton rispose senza esitazioni all’intervistatore: «L’amatriciana. Vorrei averla inventata io»! Piatto abruzzese, certo, perché la provincia reatina è stata creata, ex novo, solo nel 1927 e fino ad allora Amatrice è sempre stata abruzzese, con tanto di feroce rivalità con i cugini aquilani. Spaghetti, bucatini, rigatoni... e poi i semplici ingredienti di questo capolavoro della cucina povera: guanciale, pecorino, pomodoro (o magari no, nella versione integralista) e poi…un senso di cipolla, pepe o peperoncino (libere varianti).
La Pasta all’Amatriciana: il gusto autentico della tradizione abruzzese
Tra i piatti simbolo della cucina italiana, la Pasta all’Amatriciana rappresenta un’autentica icona di semplicità e sapore, nata dall’ingegno e dalla passione della tradizione contadina dell’antica Amatrice, un tempo parte integrante dell’Abruzzo fino al 1927. Questo legame storico rende l’Amatriciana un piatto profondamente abruzzese, espressione di una cultura gastronomica capace di trasformare pochi ingredienti essenziali in un capolavoro di gusto. Spaghetti, bucatini o rigatoni si uniscono al guanciale rosolato, al pecorino stagionato e al pomodoro, in un equilibrio perfetto tra dolcezza e sapidità. In alcune versioni più tradizionali, il pomodoro lascia spazio al solo condimento di guanciale e formaggio, ricordando la sua antica origine “bianca”. A completare il tutto, un pizzico di pepe o peperoncino e, per i più audaci, un tocco di cipolla che aggiunge profondità all’aroma. Amata da grandi chef come Heinz Beck, che la definì “un piatto che avrei voluto inventare io”, l’Amatriciana continua a essere ambasciatrice dell’autenticità abruzzese e della sua straordinaria arte culinaria.
Di grande diffusione in quasi tutta la regione sono gli arrosticini, sottili spiedini di carne ovina cotti sulla carbonella, da consumare bollenti: non c’è festa popolare, sagra o scampagnata che non li veda presenti, anche per la comodità di consumo che consentono. Molte le trattorie ‘specializzate’ e rinomate per la bontà di questo gustoso e socializzante cibo popolare. Si tratta di una preparazione di probabile origine balcanica, ma presente e diffusa sul territorio regionale da secoli, e oggi più che mai rappresentativa della tradizione alimentare locale.
Gli Arrosticini: il sapore genuino dell’Abruzzo autentico
Simbolo indiscusso della convivialità abruzzese, gli arrosticini sono sottili spiedini di carne ovina cotti lentamente sulla brace ardente, da gustare bollenti e rigorosamente appena tolti dal fuoco. Questo piatto, semplice ma irresistibile, è protagonista di ogni sagra, festa popolare o scampagnata, dove il profumo della carne arrostita si mescola al calore della compagnia. Diffusi in tutta la regione, gli arrosticini rappresentano un vero e proprio rito gastronomico, tanto da essere celebrati in numerose trattorie e locali specializzati, custodi di una tradizione che si tramanda immutata nel tempo. Le loro origini, forse riconducibili a influenze balcaniche, si sono ormai radicate profondamente nella cultura culinaria d’Abruzzo, trasformandoli in un emblema di identità regionale. Preparati con maestria artigianale e cotti sulla tipica fornacella, gli arrosticini incarnano la semplicità, l’autenticità e il gusto sincero della cucina pastorale abruzzese, capace di unire storia, sapori e convivialità in un unico, inconfondibile profumo di brace.
Naturalmente, non abbiamo dubbi, i migliori bocconotti sono quelli fatti in casa, dalle mani esperte di donne (e uomini, perché no?) che continuano a farli con la stessa ricetta tramandata (questa volta al femminile) da madre in figlia. Il bocconotto originale, che potete assaggiare in molte pasticcerie e locali di qualità, ha per il ripieno mandorle di prima qualità, tostate e tritate; cacao amaro; zucchero; limone; cannella e… soprattutto mostocotto: tanto quanto ne occorre per avere un composto della consistenza di una marmellata.
I Bocconotti: la dolce tradizione artigianale d’Abruzzo
I Bocconotti rappresentano uno dei dolci più amati e identitari dell’Abruzzo, piccoli scrigni di pasta fragrante che racchiudono un cuore morbido e profumato. Nati dalla tradizione contadina e perfezionati nel tempo dalle mani sapienti delle massaie, questi dolcetti vengono ancora oggi preparati seguendo le antiche ricette tramandate di generazione in generazione. Il ripieno, ricco e avvolgente, unisce mandorle tostate e tritate, cacao amaro, zucchero, scorza di limone, un tocco di cannella e l’immancabile mostocotto, ingrediente segreto che conferisce al composto la giusta densità e un sapore inconfondibile. Cotti fino a raggiungere una doratura perfetta, i bocconotti conquistano con la loro semplicità e la loro eleganza, simbolo di un’arte dolciaria autentica che celebra l’amore per la tradizione e la qualità delle materie prime abruzzesi. Gustarli, che sia in casa o nelle migliori pasticcerie del territorio, significa assaporare un frammento di storia e di dolcezza genuina di questa straordinaria regione.
Piatto tipico della cucina marinara abruzzese è soprattutto il brodetto, una saporita zuppa di pesce colorata di pomodoro fresco che nasce per poter utilizzare tutta quella minutaglia di piccoli ed eterogenei pesci e pesciolini che costituivano “la scafetta”, il piccolo cesto di pesce che il pescatore poteva far proprio. Oggi è un piatto sontuoso, che può includere frutti di mare, scampi, seppie, merluzzo, triglia, scorfano, palombo, razza, cefalo, tracina, sogliola e molte altre specie minori. Bisognerebbe dire ‘brodetti’ al plurale, perché viene preparato in modo via via diverso dal nord al sud del litorale regionale. Abbiamo così, lungo i 133 chilometri di costa abruzzese, brodetti alla giuliese, alla pescarese, alla vastese (forse il più conosciuto, celebrato in giugno con una “settimana del brodetto di pesce alla vastese”. Per capire le differenze tra l’uno e l’altro, non c’è che da provarli tutti!I Brodetti di Pesce: l’anima del mare abruzzese in tavola
Tra le specialità più rappresentative della cucina marinara abruzzese spiccano i brodetti di pesce, autentici gioielli gastronomici che raccontano la storia e la cultura delle comunità costiere. Nati come piatti poveri dei pescatori, i brodetti erano originariamente preparati con la “scafetta”, il piccolo cesto di pesci misti che i marinai potevano tenere per sé al termine della giornata di pesca. Oggi questa zuppa saporita e colorata di pomodoro fresco è diventata un piatto ricco e raffinato, capace di esaltare la freschezza e la varietà del pescato locale: seppie, triglie, scampi, scorfani, palombi, razze, merluzzi, mazzoline, sogliole e frutti di mare si fondono in un equilibrio di sapori marini unico. Lungo i 133 chilometri di costa abruzzese, il brodetto si declina in più versioni, ognuna con la propria identità e sfumatura: dal brodetto alla giuliese al pescarese, fino al celebre brodetto alla vastese, protagonista di una tradizionale “settimana del brodetto” che ogni giugno celebra questa delizia del mare. Gustarlo significa compiere un viaggio sensoriale lungo tutta la costa d’Abruzzo, dove ogni porto conserva gelosamente la propria ricetta e il proprio segreto di sapore.
Diffusi in tutta la regione, pratici da mangiare durante le tombolate (uno tira l’altro), i calcionetti abruzzesi (in dialetto, caviciunitte o anche caggiunitte) tramandano da sempre una storia di condivisione. A forma di fragili mezzelune, dal colore dorato e dalla pasta friabile, venivano fritti dopo “li crispell” e conservati fino alla Befana in cesti di vimini foderati da canovacci di lino. L’origine va fatta risalire al periodo saraceno: da qui la forma, che è beneaugurale, perché la luna crescente irradia una luce potente. Friabili e dorati, i calcionetti abruzzesi si gustano in compagnia e si conservano con cura fino alla Befana.I Calcionetti, un dolce tradizionale natalizio degli abruzzesi
I Calcionetti sono tra i dolci più amati e rappresentativi dell’Abruzzo, simbolo di convivialità e tradizione, consumati in tutta la regione soprattutto durante le festività natalizie e le classiche tombolate, dove “uno tira l’altro”. Conosciuti in dialetto come caviciunitte o caggiunitte, questi dolcetti raccontano una lunga storia di condivisione familiare. Hanno la tipica forma a mezzaluna, fragile e dorata, con un guscio di pasta sottile e friabile che racchiude un ripieno dolce la cui ricetta può variare da zona a zona. Un tempo venivano fritti dopo la preparazione di li crispell, sfruttando l’olio ancora caldo, e poi conservati fino all’Epifania in cesti di vimini foderati di canovacci di lino, mantenendo così intatta la loro fragranza. La tradizione ne fa risalire l’origine al periodo saraceno, da cui deriverebbe anche la forma beneaugurale ispirata alla luna crescente, simbolo di luce e prosperità. Ancora oggi i calcionetti restano un dolce immancabile delle feste, friabili e profumati, da gustare in compagnia e tramandare di generazione in generazione.
Questo pregiato formaggio pecorino si produce nel versante meridionale del Gran Sasso in nove comuni del circondario di Castel del Monte, comune a ridosso dello splendido altopiano di Campo Imperatore. La lavorazione del latte avviene a crudo, con caglio naturale di vitello o di agnello. La cagliata è posta nelle fuscelle (canestri) che conferiscono la particolare scolpitura delle forme. La stagionatura può variare da un minimo di 2 mesi ad un massimo di 18 -24 mesi per le forme da 15 kg. È il formaggio tipico della transumanza: lo spostamento delle greggi attraverso i ‘tratturi’ verso i pascoli della Puglia prima dell’inverno. C’è un Consorzio tra produttori per la tutela e la valorizzazione ed è un Presidio Slow Food.
Il Canestrato di Castel del Monte: il sapore autentico della transumanza abruzzese
Il Canestrato di Castel del Monte è uno dei formaggi più pregiati e rappresentativi dell’Abruzzo, simbolo dell’antica tradizione pastorale legata alla transumanza. Prodotto nel versante meridionale del Gran Sasso, nei comuni che circondano Castel del Monte e l’altopiano di Campo Imperatore, questo pecorino nasce da latte ovino lavorato a crudo con caglio naturale di vitello o di agnello, secondo metodi tramandati da generazioni di pastori. La cagliata viene posta nelle tipiche fuscelle, i canestri di giunco che donano alla crosta la sua caratteristica trama, da cui il nome del formaggio. La stagionatura varia dai due mesi fino a oltre un anno e mezzo per le forme più grandi, sviluppando aromi complessi e un gusto deciso ma armonioso, che racconta i profumi dei pascoli d’alta quota. Storicamente legato al viaggio delle greggi lungo i tratturi verso la Puglia, il Canestrato di Castel del Monte rappresenta l’anima più autentica della cultura casearia abruzzese. Oggi è tutelato da un Consorzio di produttori e riconosciuto come Presidio Slow Food, a testimonianza del suo valore come patrimonio gastronomico e culturale di una terra fiera delle proprie radici.
Agli inizi dell’800 un appassionato erborista selezionò un gran numero di erbe aromatiche raccolte sulle montagne abruzzesi. Il liquore che ottenne, dall’inconfondibile colore verde smeraldo e dall’alta gradazione alcolica (oltre 70°!), ha un intenso profumo di erbe che, oggi, arrivano ancora fresche in fabbrica dove vengono lasciate essiccare e mondate affinché restino solo le foglioline. La ricetta, antichissima come detto, è ancora oggi gelosamente custodita, inalterata, dalla sola famiglia che produce questo particolare liquore a Tocco da Casauria, patria di questo straordinario liquore.
La Centerba: l’essenza aromatica delle montagne d’Abruzzo
Il Centerbe è uno dei liquori più iconici e affascinanti dell’Abruzzo, nato agli inizi dell’Ottocento grazie all’ingegno di un erborista che seppe racchiudere in un distillato la forza e la purezza delle erbe della montagna. Prodotto a Tocco da Casauria, alle pendici del massiccio della Maiella, questo straordinario liquore si distingue per il suo intenso colore verde smeraldo e per la sua elevata gradazione alcolica, che può superare i 70 gradi. Ottenuto da una sapiente infusione di numerose erbe aromatiche locali – raccolte ancora oggi fresche e selezionate con cura prima di essere essiccate e private delle parti legnose – il Centerbe sprigiona un profumo penetrante e complesso, capace di evocare i sentori della natura incontaminata d’Abruzzo. La sua antica ricetta, gelosamente custodita e tramandata all’interno della stessa famiglia produttrice, è rimasta inalterata nel tempo, conferendo al liquore una personalità unica. Tradizionalmente gustato come digestivo o utilizzato per arricchire dolci e infusi, il Centerbe rappresenta un vero emblema della maestria erboristica e della tradizione liquoristica abruzzese.
Le ceppe (piatto “simbolo” di Civitella del Tronto) sono una delle paste abruzzesi fatte in casa più buone in assoluto. Il classico impasto di acqua, uova e farina si lascia riposare in una terrina unta d’olio per circa 30 minuti. Si divide poi la pasta in tanti pezzetti uguali, che saranno allungati per circa 15 cm ognuno e avvolti singolarmente intorno ad un sottile ferro di calza, così da ottenere una specie di maccherone col buco. Ci vuole un’ora e mezzo di sapiente lavoro per ottenere un solo chilo di pasta. Le ‘ceppe’ si servono con il classico ragù di carni miste, magari spolverato con dell'ottimo pecorino. Nell’attesa è d’obbligo visitare la splendida Fortezza Borbonica di Civitella salendo per la ‘ruetta’, la strada più stretta d’Italia.
Le Ceppe: la tradizione artigianale di Civitella del Tronto
Le Ceppe rappresentano uno dei piatti simbolo di Civitella del Tronto e una delle paste fatte in casa più autentiche e laboriose dell’Abruzzo. Realizzate con un impasto semplice di acqua, uova e farina, devono la loro particolarità alla lavorazione manuale: ogni pezzetto di pasta, dopo un breve riposo, viene arrotolato intorno a un sottile ferro da calza fino a ottenere un cilindro cavo simile a un maccherone. Il risultato è una pasta ruvida e porosa, perfetta per trattenere il condimento e frutto di una paziente maestria artigianale — servono infatti oltre novanta minuti di lavoro per produrne appena un chilo. Tradizionalmente le ceppe vengono servite con un ricco ragù di carni miste e una generosa spolverata di pecorino, in un tripudio di sapori che racconta la storia e la passione della cucina contadina abruzzese. Gustarle nel borgo di Civitella del Tronto, magari dopo aver visitato la maestosa Fortezza Borbonica e percorso la famosa ruetta, la via più stretta d’Italia, significa vivere un’esperienza che unisce gusto, storia e tradizione in un solo, indimenticabile piatto.
Una tradizione che risale alla fine del XV secolo. Il confetto tipico è formato da un nucleo interno costituito da una mandorla intera sgusciata e pelata, rivestito da strati di zucchero sovrapposti per successive bagnature così da ottenere una crescita a strati della copertura cristallina senza l’utilizzo di amido. L’anima, poi, può essere costituita anche da altri ingredienti: nocciola, cannella, cioccolato, canditi vari, pistacchio, frutta secca. L’evoluzione dei macchinari, le tipologie di lavorazione, la storia dell’arte confettiera a Sulmona, si possono ripercorrere presso il Museo che si trova all’interno della ditta Pelino, sempre aperto al pubblico (vedi sezione “Da Visitare). Un vanto la lavorazione artistica dei confetti: si preparano grappoli, spighe, rosari, cestini accostando forme e colori con straordinaria, secolare abilità e inventiva.
I Confetti di Sulmona: dolce arte e tradizione secolare d’Abruzzo
I Confetti di Sulmona sono una delle eccellenze dolciarie più antiche e rappresentative d’Abruzzo, simbolo di eleganza e maestria artigianale riconosciuto in tutto il mondo. La loro produzione, documentata sin dalla fine del XV secolo, si distingue per la lavorazione raffinata e l’assoluta qualità degli ingredienti. Il confetto tradizionale è composto da una mandorla intera, sgusciata e pelata, rivestita da sottili strati di zucchero sovrapposti con un lento processo di bagnature successive, che formano una copertura cristallina perfetta senza l’uso di amidi. Accanto alla versione classica, esistono varianti che custodiscono al loro interno nocciole, pistacchi, frutta candita, cannella o cioccolato, offrendo una gamma di sapori e profumi irresistibili. L’arte confettiera di Sulmona non si limita al gusto: straordinaria è anche la lavorazione artistica, che trasforma i confetti in composizioni floreali, grappoli, spighe o cestini, veri capolavori di creatività e precisione. Questa tradizione, tramandata da secoli e custodita da famiglie storiche come quella della Ditta Pelino, è celebrata nel Museo dei Confetti, dove si può ripercorrere la storia di un prodotto che racchiude dolcezza, arte e identità abruzzese.
La base dell’impasto di questo salume, assai diffuso nell’intero Abruzzo e che, per esteso, va sotto il nome di salsiccia di fegato sono le frattaglie: fegato, cuore, polmoni in una percentuale che va dal 50% alla quasi totalità. A seconda delle zone, si aggiunge ventresca e carne magra del maiale in percentuali, come detto, variabili. L’impasto viene macinato finemente e condito con sale, pepe, peperoncino (fegato “pazzo”); talvolta anche con aglio schiacciato a coltello e alloro. Nella versione dolce, invece (soprattutto nell’aquilano) al posto delle spezie piccanti si aggiunge il miele in quantità dettate dall’esperienza e dalla consistenza e/o magrezza dell’impasto. Il momento migliore per il consumo è intorno a marzo-aprile, dopo l’asciugatura e la stagionatura.
Il Fegato dolce e il Fegato “pazzo”: sapori autentici dell’Abruzzo
Il Fegato dolce e il Fegato “pazzo” sono due tra i salumi più tradizionali e rappresentativi dell’Abruzzo, espressione di una cultura gastronomica radicata nella lavorazione delle carni e delle frattaglie. La base di questi insaccati è costituita da fegato, cuore e polmoni, che possono rappresentare dal 50% fino quasi alla totalità dell’impasto, arricchiti talvolta da ventresca e carne magra di maiale secondo le consuetudini locali. L’impasto viene macinato finemente e sapientemente condito: nella versione piccante, il Fegato “pazzo” si profuma di pepe, peperoncino e talvolta aglio e alloro, mentre il Fegato dolce, tipico soprattutto della zona aquilana, predilige l’aggiunta di miele che bilancia la consistenza e la magrezza della carne, creando un sapore rotondo e avvolgente. Dopo una stagionatura e un’asciugatura attente, il momento ideale per gustare questi salumi è tra marzo e aprile, quando il loro aroma e la loro struttura raggiungono la perfezione. Entrambi incarnano la sapienza popolare e la passione per le lavorazioni artigianali, offrendo un’esperienza gustativa che racconta l’Abruzzo più autentico, fatto di tradizione, sapori decisi e maestria nel valorizzare ogni parte dell’animale.
È il lardo con venature di magro ottenuto dalla guancia del maiale rifilata secondo la classica forma triangolare. Il processo di lavorazione (almeno 3 mesi complessivi) prevede salatura, impepatura, affumicatura e stagionatura. Il sapore è intenso, leggermente piccante lasciando risaltare l’affumicatura. Il guanciale ha un legame molto stretto con il territorio di produzione, poiché da sempre, insieme agli altri derivati del maiale, è stato parte integrante dell’alimentazione dei pastori transumanti per la sua facilità di conservazione e trasporto e le sue buone qualità caloriche. È l’ingrediente principe degli spaghetti all’amatriciana.
Il Guanciale Amatriciano: l’eccellenza della tradizione abruzzese
Il Guanciale Amatriciano è uno dei salumi più iconici dell’Abruzzo e del Lazio, caratterizzato da una carne magra intrecciata a strati di lardo, ricavata dalla guancia del maiale e rifilata secondo la classica forma triangolare. La sua lavorazione richiede almeno tre mesi e comprende salatura, pepatura, affumicatura e stagionatura, fasi che conferiscono al prodotto un sapore intenso e aromatico, leggermente piccante, in cui si esalta il delicato aroma di fumo. Storicamente, il guanciale ha avuto un ruolo fondamentale nell’alimentazione dei pastori transumanti, grazie alla facilità di conservazione e trasporto e all’elevato apporto calorico, rendendolo un alimento prezioso per chi percorreva i tratturi con le greggi. Oggi è celebre soprattutto come ingrediente principe degli spaghetti all’Amatriciana, dove il suo gusto deciso e aromatico dona corpo e autenticità a un piatto simbolo della tradizione culinaria regionale, incarnando il legame profondo tra territorio, storia e sapori genuini.
È piccola e molto saporita: una minuscola lenticchia di pochi millimetri di diametro, globosa e di colore scuro. Le coltivazioni (davvero eroiche) sono tra i 1.200 e i 1.600 metri di altitudine, nel Parco del Gran Sasso e Monti della Laga. Per le loro piccole dimensioni non necessitano quasi di ammollo; solo di una piccola cernita a vista e di un buon lavaggio in acqua corrente. La cottura - con poca acqua a coprire, un paio di spicchi d’aglio, foglie di alloro e olio extravergine- parte a crudo e si protrae (con leggera ebollizione a pentola coperta) per circa venti minuti. La zuppa si può servire con qualche fetta di pane bruscato e un ulteriore giro d’olio extravergine. È presidio Slow Food.
La Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio: il tesoro dei Monti del Gran Sasso
La Lenticchia di Santo Stefano di Sessanio è un’eccellenza agricola dell’Abruzzo, piccola ma straordinariamente saporita, caratterizzata da semi globosi, scuri e di pochi millimetri di diametro. Coltivata tra i 1.200 e i 1.600 metri di altitudine, nel cuore del Parco del Gran Sasso e Monti della Laga, questa lenticchia cresce in condizioni climatiche e ambientali impegnative, che ne esaltano gusto e fragranza. La sua preparazione è semplice ma richiede attenzione: non necessita quasi di ammollo, basta una cernita accurata e un buon lavaggio in acqua corrente. La cottura avviene a crudo, con poca acqua a coprire, qualche spicchio d’aglio, foglie di alloro e un filo di olio extravergine d’oliva, in pentola coperta a leggera ebollizione per circa venti minuti. Servita come zuppa calda, accompagnata da pane bruscato e un’ulteriore spruzzata di olio, esprime tutta la sua delicatezza e la profonda identità del territorio. Riconosciuta come Presidio Slow Food, la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio rappresenta non solo un alimento di qualità, ma anche un simbolo della resilienza e della sapienza agricola delle comunità montane abruzzesi.
Da secoli, il succo delle radici di cui questo territorio è ricco, è utilizzato come rimedio e medicamento in molti disturbi e malattie in erboristeria e dall’industria farmaceutica per il suo elevato potere edulcorante, che è circa 50-100 volte superiore a quello del saccarosio. Senza mai dimenticare il semplice, antico piacere di rotelle, bastoncini, pesciolini, confetti ripieni, caramelle, insomma di tutto quel campionario di multiformi delicatezze che hanno fatto la felicità di tutti: grandi e piccini. Non tornate dalla magnifica Atri – con la sua splendida Cattedrale, il Teatro Romano, il Palazzo Ducale, le sue Grotte e i suoi Calanchi – senza un piccolo acquisto di vera liquirizia.
La Liquirizia di Atri: dolce e rimedio della tradizione abruzzese
La Liquirizia di Atri rappresenta una delle eccellenze più antiche e riconosciute dell’Abruzzo, radicata nella storia e nella cultura del territorio. Estratta dalle radici di una pianta che cresce rigogliosa nella zona, la liquirizia è nota da secoli per le sue proprietà benefiche: utilizzata in erboristeria e dall’industria farmaceutica per le sue qualità digestive e lenitive, possiede un potere edulcorante straordinario, fino a 50-100 volte superiore a quello del saccarosio. Accanto a queste virtù, permane il fascino del piacere semplice e genuino: rotelle, bastoncini, pesciolini, confetti ripieni e caramelle che hanno allietato generazioni di grandi e piccini. Una visita ad Atri, con le sue bellezze architettoniche come la Cattedrale, il Teatro Romano, il Palazzo Ducale, le suggestive Grotte e i Calanchi, non può considerarsi completa senza portare a casa un assaggio di questa dolcezza unica, autentico simbolo della tradizione e dell’artigianalità abruzzese.
Pasta simbolo della regione, che si ottiene adagiando la sfoglia - consistente ed elastica insieme- sull’apposito attrezzo tradizionale (un telaietto di legno attraversato nel senso della lunghezza da corde metalliche a guisa di chitarra) e passando sopra, con una leggera pressione e sempre nello stesso verso, il mattarello. Sotto la chitarra scendono questi ‘spaghetti’ a sezione quadrata che tanto bene sposano ragù d’agnello (preferibilmente in bianco con erbe di montagna), condimenti con funghi o tartufo, ma anche frutti di mare o una semplice salsa con pomodoro e basilico. Ci vuole pazienza e una certa abilità manuale, ma un primo piatto a base di spaghetti alla chitarra non può davvero mancare in un menu tipico abruzzese.
I Maccheroni alla Chitarra: la pasta simbolo dell’Abruzzo
I Maccheroni alla Chitarra sono uno dei simboli gastronomici più autentici dell’Abruzzo, espressione della tradizione e della maestria artigianale della regione. La loro preparazione richiede una pasta consistente ed elastica, stesa in sfoglia e adagiata sull’apposito strumento tradizionale, il “chitarra”: un telaio di legno attraversato da corde metalliche, sulle quali la sfoglia viene passata con il mattarello esercitando una leggera pressione, sempre nello stesso verso, fino a ottenere spaghetti dalla caratteristica sezione quadrata. Questo formato unico si presta a esaltare i sapori dei condimenti più diversi, dai ragù d’agnello, preferibilmente in bianco con erbe di montagna, a salse a base di funghi o tartufo, fino ai sughi di pesce e alle preparazioni semplici con pomodoro e basilico. La realizzazione richiede pazienza e abilità manuale, ma il risultato è un piatto dal gusto intenso e avvolgente, capace di incarnare l’identità culinaria abruzzese: un primo piatto che non può mancare in un menu tipico della regione, celebrando l’eccellenza della pasta fatta a mano e la tradizione delle famiglie che ancora oggi la preparano con passione.
Piccolo capolavoro della grande cucina teramana. Occorrono belle foglie di lattuga, budellini e coratella di agnello, cipolla, maggiorana, prezzemolo, aglio (possibilmente fresco) olio extravergine, aceto di vino, sale e pepe... Si taglia la coratellina, si lava per bene, si sala leggermente e si lascia anch’essa a sgocciolare. Su ogni foglia di lattuga si adagia un poco di coratella, qualche fettina di cipolla e di aglio e il prezzemolo. Si stringono ben bene le foglie intorno al ripieno legando ciascuna “mazzarella” avvolgendola con i budellini accuratamente lavati con acqua e aceto. La cottura prosegue in forno, a calore medio, girando spesso e bagnando –se necessario con altra acqua ed aceto o in padella adeguata. Si servono ben calde, come delizioso antipasto o secondo piatto.
Le Mazzarelle Teramane: un tesoro della cucina tradizionale abruzzese
Le Mazzarelle Teramane rappresentano uno dei piatti più autentici e raffinati della tradizione culinaria di Teramo, piccoli capolavori di sapore e tecnica artigianale. La loro preparazione richiede ingredienti freschissimi e di qualità: foglie di lattuga, budellini e coratella di agnello, cipolla, aglio, prezzemolo, maggiorana, olio extravergine d’oliva, aceto di vino, sale e pepe. La coratella, accuratamente tagliata, lavata e leggermente salata, viene adagiata su ogni foglia insieme a fettine di cipolla e aglio e al prezzemolo tritato, quindi avvolta con cura a formare le “mazzarelle”, che vengono legate con i budellini precedentemente lavati con acqua e aceto. La cottura, lenta e attenta, avviene in forno a calore moderato o in padella, girando spesso e bagnando con acqua e aceto per mantenerle morbide e saporite. Servite ben calde, le mazzarelle costituiscono un antipasto saporito o un secondo piatto ricco e avvolgente, capace di raccontare la storia gastronomica di Teramo e l’eleganza semplice della cucina contadina abruzzese.
È “il” vitigno e “il” vino abruzzese per antonomasia. È la prima Doc ottenuta in regione: dal 1968 premia l'uva regina di queste terre, protegge e certifica vini prodotti (nonché imbottigliati e affinati) in aree vocate nelle quattro province, da pendici affacciate sui 130 chilometri di costa fino all'alta collina interna, con vigneti ubicati fino a 500-600 metri d'altezza. Bandiera del territorio, identitario ed eloquente nella sua forte impronta qualitativa (colore profondo e vivo dovuto alla naturale ricchezza di preziose sostanze polifenoliche, garanti di solida capacità evolutiva; profumi densi con tipiche note di ciliegia, base, con affinamento e maturazione, per un bouquet variegato e complesso) il Montepulciano offre, pur nella coerenza garantita dal vitigno, una gamma composita di sfumature, dalla morbida cremosità dei vini di zone più calde e generose all'eleganza setosa di quelli d'altura. Ma il suo marchio è comunque quello di una beva di succosa soddisfazione. La ricerca sulla specificità dei ‘terroir’ porta alla valorizzazione delle sottozone di produzione, come le recenti: Casauria, Terre dei Vestini, Alto Tirino.
Montepulciano d’Abruzzo: il vino simbolo della regione
Il Montepulciano d’Abruzzo è il vitigno e il vino che meglio rappresentano l’identità enologica della regione, una vera e propria bandiera del territorio abruzzese. Prima Doc ottenuta in Abruzzo, sin dal 1968 tutela e valorizza l’“uva regina” coltivata in aree vocate delle quattro province, dai vigneti delle pendici che si affacciano sui 130 chilometri di costa fino alle colline interne, con altitudini che raggiungono i 500-600 metri. La sua qualità si manifesta nel colore intenso e profondo, frutto della ricchezza di polifenoli che ne garantiscono longevità e capacità evolutiva, e nei profumi densi e complessi, con tipiche note di ciliegia che si arricchiscono di sfumature e bouquet articolati con l’affinamento. Pur mantenendo la coerenza del vitigno, il Montepulciano esprime una gamma di caratteri diversi: dai vini morbidi e cremosi delle zone più calde e generose all’eleganza setosa e raffinata delle produzioni d’altura, offrendo comunque sempre una beva di succosa soddisfazione. La crescente attenzione alla specificità dei territori ha portato alla valorizzazione delle sottozone, come Casauria, Terre dei Vestini e Alto Tirino, permettendo di esplorare la straordinaria complessità e identità di questo vino, autentico ambasciatore dell’eccellenza abruzzese.
È l'altra faccia (e l'altro colore) del Montepulciano, ed è protetto, con regole specifiche, dalla stessa Doc. È la tradizionale versione in rosa, ottenuta dalla stessa uva grazie a un contatto tra mosto e bucce assai più breve e delicato. Vino, alle origini, da autoconsumo (anticipato, veloce rispetto al rosso) per intuibili motivazioni socioeconomiche, in virtù della sua piacevolezza, di profumi, se centrati, davvero deliziosi, e di una beva “ponte”, capace di far da compagna alla cucina più profumata di terra come a quella di mare più saporosa, è divenuto la “terza gamba” dell'Abruzzo da vino. E vive oggi, grazie anche all'opera di produttori accorti e rigorosi, e all'indiscutibile crescita di cultura e di accortezza tecnica nelle cantine, il momento di massimo successo della sua storia.
Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo: la freschezza in rosa della tradizione abruzzese
Il Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo rappresenta l’altra faccia, più luminosa e rosata, del Montepulciano d’Abruzzo, tutelato dalla stessa Doc con regole precise per preservarne l’identità. Ottenuto dalla medesima uva con un contatto tra mosto e bucce più breve e delicato, nasce come vino da autoconsumo, pronto in tempi rapidi rispetto alla versione rossa, rispondendo alle esigenze socioeconomiche delle comunità locali. Caratterizzato da profumi fragranti e avvolgenti e da una beva immediata e piacevole, il Cerasuolo si è sempre distinto per la sua versatilità, capace di accompagnare con equilibrio sia piatti di terra ricchi di aromi sia ricette di mare più saporite, diventando nel tempo la “terza gamba” dell’enologia abruzzese. Grazie all’impegno di produttori attenti e rigorosi e alla crescente cultura tecnica nelle cantine della regione, il Cerasuolo vive oggi il momento di massimo splendore della sua storia, conquistando appassionati e intenditori con la sua freschezza, la delicatezza del colore e l’eleganza dei profumi, autentica espressione del territorio abruzzese.
Verrebbe da dire, giocandoci un po' su, che il bianco Montonico somiglia all'immagine retorica a lungo associata agli abruzzesi. È uva di buccia dura (enoicamente un vantaggio: protegge da muffe e malanni, e assicura apporti interessanti, se ben gestita); tanto che a lungo, proprio per la sua resistenza a viaggi e strapazzi, è spesso ‘emigrata’, spedita fuori d'Italia e consumata anche come uva da tavola. Ama terreni avari e climi freschi. Ed è tardiva, richiedendo dunque coraggio (e sfide al meteo) a chi la coltiva. Ma ripaga con un vino speciale: bella acidità, nitido finale amarognolo e, in mezzo, note di frutta e spezie delicate. Il Montonico è vanto per ora solo di aree ristrette del Teramano: Bisenti e Poggio delle Rose. Da qui, grazie a pionieri coraggiosi, è partito il rilancio, ancora definito dalle esigue quantità prodotte, ma già oggetto di motivato interesse da parte degli ‘esploratori’ e intenditori più accorti.
Montonico: il bianco abruzzese dalle radici coraggiose
Il Montonico è un vino bianco dell'Abruzzo che incarna l’identità e la resilienza del territorio abruzzese, un’uva dalla buccia dura, capace di difendersi da muffe e malanni e di garantire notevoli apporti aromatici se coltivata con cura. Storicamente apprezzata anche come uva da tavola per la sua resistenza ai trasporti e alle lunghe spedizioni, oggi il Montonico è coltivato in terreni poveri e climi freschi, richiedendo coraggio e attenzione da parte dei viticoltori a causa della sua maturazione tardiva e della sensibilità alle condizioni meteo. Il vino che ne deriva sorprende per eleganza e precisione: acidità vivace, finale nitido e leggermente amarognolo, con delicati sentori di frutta e spezie che ne arricchiscono il carattere. Per ora è prodotto in aree ristrette del Teramano, tra Bisenti e Poggio delle Rose, ma grazie all’opera di pionieri coraggiosi sta vivendo una fase di rilancio, attirando l’interesse di appassionati ed esperti desiderosi di scoprire questa perla poco conosciuta ma straordinariamente espressiva dell’enologia abruzzese.
Treccia, bocconcini, ciliegine, nodini… qualunque sia la forma, il fior di latte –il più fresco e diffuso tra i formaggi a pasta filata- è una vera prelibatezza abruzzese. Nelle fasce montane e pedemontane, la zootecnia è da sempre stata l’attività agricola più importante e la produzione di mozzarelle ha zone di particolare pregio, per la qualità dei pascoli (quindi del latte) e la artigianale tradizione casearia. Particolarmente apprezzate le mozzarelle dell’aquilano e delle zone ai confini con il Molise, a partire da Rivisondoli. La scamorza appassita (che trovate spesso abbinata al prosciutto come pietanza) è identica nella preparazione al fior di latte ma con minor percentuale d’acqua e la caratteristica crosta giallognola proprio perché lasciata appassire. Legate con il caratteristico spago, sono di sapore più intenso e si servono cotte lentamente sulla brace o in forno.
Mozzarelle & C.: la freschezza e l’artigianalità della tradizione abruzzese
Le mozzarelle abruzzesi, nelle forme più varie — trecce, bocconcini, ciliegine o nodini — rappresentano uno dei fiori all’occhiello della produzione casearia dell'Abruzzo, espressione della freschezza e della maestria artigianale. Nelle aree montane e pedemontane, dove la zootecnia ha da sempre un ruolo centrale, la qualità dei pascoli si riflette direttamente nel latte, conferendo alle mozzarelle sapori genuini e consistenze perfette. Particolarmente rinomate sono quelle dell’Aquilano e delle zone ai confini con il Molise, come Rivisondoli, dove la tradizione casearia si tramanda intatta da generazioni. Accanto al fior di latte, si distinguono anche le scamorze appassite, preparate con lo stesso metodo ma con minore contenuto d’acqua e caratterizzate dalla crosta giallognola che si forma durante l’appassimento; legate con lo spago, acquistano un gusto più deciso e intenso e si prestano a essere gustate cotte lentamente sulla brace o al forno, spesso accompagnando salumi come il prosciutto. Questi formaggi incarnano l’eccellenza della filiera casearia abruzzese, dove tradizione, territorio e sapore si fondono in prodotti di grande autenticità e riconoscibile qualità.
Il disciplinare da rispettare per ottenere da parte dei produttori la denominazione d’origine protetta “Miele d’Abruzzo” è piuttosto rigida. Qui basti sapere che sia gli alveari che tutte le operazioni di lavorazione, confezione e commercializzazione devono avvenire all’interno del territorio regionale. Seguono molte altre regole a garanzia della naturalità e tipicità del prodotto, compreso l’elenco delle tipologie di miele ammesse alla denominazione, che è piuttosto ristretto: millefiori; millefiori di montagna (apiari ad oltre 800 metri s.l.m.); di sulla; di girasole; di santoreggia; di acacia; di melata e di lupinella (quest’ultimo una vera rarità abruzzese). Otto tipi di miele in tutto, ma con una gamma di profumi e sapori vastissima, ognuna legata oltre che alla tipologia, al territorio e al produttore.
Il Miele d’Abruzzo: eccellenza naturale e tradizione apiaria
Il Miele d’Abruzzo è un prodotto di straordinaria qualità, tutelato dalla Denominazione d’Origine Protetta che ne garantisce autenticità e tipicità. La normativa che ne regola la produzione è rigorosa: sia gli alveari sia tutte le fasi di lavorazione, confezionamento e commercializzazione devono svolgersi esclusivamente all’interno del territorio regionale, a garanzia della naturalità del prodotto. La DOP comprende un numero selezionato di tipologie, ciascuna con caratteristiche uniche: millefiori, millefiori di montagna (provenienti da apiari situati oltre 800 metri sul livello del mare), miele di sulla, di girasole, di santoreggia, di acacia, di melata e la rara lupinella, vera peculiarità dell’Abruzzo. Otto varietà soltanto, ma con una sorprendente gamma di profumi e sapori, strettamente legati al territorio, al tipo di fiore e alla sensibilità del produttore. Dal dolce aroma dei fiori di montagna alla delicatezza dell’acacia, ogni miele racconta una storia di biodiversità, passione e maestria artigianale, rendendo questo prodotto una delle eccellenze più preziose della regione.
Campotosto (e le sue frazioni Mascioni e Poggio Cancelli) sulle sponde del lago artificiale più grande d’Europa e nel cuore del Parco del Gran Sasso e Monti della Laga, sono i luoghi dove ‘si fanno’ e di cui il Presidio Slow Food garantisce qualità e autenticità. Per prima cosa bisogna saper scegliere il grasso per il lardello centrale che è la caratteristica principe di questo insaccato di carne magra di maiale, ovoidale e della misura della mano di chi le fa. Le mortadelle si legano a due a due (da cui il colorito appellativo di ‘cojoni di mulo’) e si mettono a cavallo ad asciugare e a prendere un’ombra di fumo. Dopo tre mesi molti dicono che sono pronte ma dopo un anno, che tanto non si seccano (il lardello serve anche a quello) sono il massimo.
Le Mortadelle di Campotosto: tradizione e artigianalità nel cuore dell’Abruzzo
Le Mortadelle di Campotosto sono un’eccellenza della tradizione salumiera abruzzese, prodotte nei comuni di Campotosto e nelle frazioni di Mascioni e Poggio Cancelli, sulle sponde del lago artificiale più grande d’Europa e immersi nel cuore del Parco del Gran Sasso e Monti della Laga. Questo insaccato ovoidale, a base di carne magra di maiale, deve la sua qualità all’accurata scelta del lardello centrale, che ne costituisce il tratto distintivo e ne preserva morbidezza e sapore durante la stagionatura. Le mortadelle vengono legate a due a due, da cui il curioso appellativo popolare di “cojoni di mulo”, e appese ad asciugare, prendendo un leggero aroma di fumo che ne arricchisce il profilo aromatico. La paziente stagionatura dura mesi: dopo tre mesi molti le considerano pronte, ma è solo dopo un anno, quando la carne ha sviluppato pienamente i sapori e il lardello continua a garantire succosità e morbidezza, che le mortadelle raggiungono la loro massima espressione. Il Presidio Slow Food tutela questa specialità, assicurando autenticità e qualità, trasformando ogni morso in un’esperienza che racconta la storia, la cultura e la passione dei produttori abruzzesi.
Nell’alta Val Pescara, in “tenimento di Castiglione a Casauria”, –zona interna collinare a 350 metri- è tradizione ultracentenaria coltivare e vinificare il locale moscatello. È uno dei più antichi vitigni autoctoni abruzzesi da cui si ricava, come si direbbe oggi, un delizioso vino da dessert o da meditazione. Gran parte della piccola produzione è destinata all’autoconsumo in occasione di feste familiari (la nascita, lo sposalizio) e pubbliche: la festa del Santo Patrono del 3 Febbraio e, in tempi più recenti, la locale sagra gastronomica. È un vino dolce naturale, equilibrato e piacevolissimo, da scoprire facendo una piccola gita in quel di Castiglione a Casauria e approfittandone per visitare la splendida abbazia di San Clemente a Casauria, nei pressi della vicina Torre dei Passeri.
Moscatello di Castiglione a Casauria: il bianco dolce della tradizione abruzzese
Il Moscatello di Castiglione a Casauria è uno dei più antichi vitigni autoctoni dell’Abruzzo, coltivato da secoli nell’alta Val Pescara, nel territorio collinare di Castiglione a circa 350 metri di altitudine. Da queste uve si ottiene un vino dolce naturale, elegante e armonioso, perfetto come dessert o vino da meditazione, apprezzato per la sua piacevolezza e l’equilibrio tra zuccheri e aromi delicati. La produzione è limitata e tradizionalmente destinata all’autoconsumo durante ricorrenze familiari come nascite e matrimoni, ma anche in occasione di feste pubbliche, tra cui la celebrazione del Santo Patrono il 3 febbraio e, più recentemente, la sagra gastronomica locale. Assaggiare il Moscatello significa immergersi in una tradizione secolare, scoprendo un prodotto autentico e legato al territorio, ideale per accompagnare una visita alla splendida Abbazia di San Clemente a Casauria e alla vicina Torre dei Passeri, rendendo la gita un’esperienza che unisce storia, cultura e gusto d’Abruzzo.
Veniva preparato dai contadini quando nasceva il figlio maschio, per offrirlo nel giorno del suo matrimonio. Tecnicamente è un mosto di uve Montepulciano d’Abruzzo concentrato per bollitura nel caldaio di rame. Quando si aggiunge al mosto concentrato altro mosto fresco non fermentato (rifermenteranno insieme) si ha una versione più “bevibile”, il vino cotto, utilizzato come vino da dessert. Il mosto cotto vero e proprio è quello che si fa lasciando sobbollire il mosto fresco a fuoco moderato fino ad una riduzione della massa che, secondo gusti e utilizzo, può andare da un terzo ad un ottavo del volume iniziale. Viene utilizzato nella preparazione di dolci tradizionali, per conserve o come condimento in molte preparazioni di pietanze a base di carne.
Il Mosto Cotto: tradizione e dolcezza dell’Abruzzo
Il Mosto Cotto è un’eccellenza della tradizione contadina abruzzese, legata a riti antichi e al ciclo della vita familiare: un tempo veniva preparato dai contadini per celebrare la nascita di un figlio maschio e offerto nel giorno del suo matrimonio. Si ottiene da uve Montepulciano d’Abruzzo, il cui mosto viene concentrato lentamente in caldai di rame, sobbollendo a fuoco moderato fino a ridurlo a una frazione del volume iniziale, secondo l’uso e il gusto desiderato. La versione più “bevibile”, detta vino cotto, nasce aggiungendo al mosto concentrato altro mosto fresco non fermentato, che fermenterà insieme, dando vita a un vino da dessert dal sapore dolce e armonioso. Il Mosto Cotto vero e proprio, invece, trova impiego nella preparazione di dolci tradizionali, conserve artigianali e come condimento in piatti a base di carne, esaltando i sapori con la sua complessità e dolcezza naturale. Ancora oggi rappresenta un legame con la cultura agricola abruzzese, un prodotto che racchiude storia, passione e autenticità del territorio.
La cultura mediterranea dell’olivo trova in Abruzzo una delle aree italiane più importanti, e disegna da secoli il paesaggio di interi territori tra il mare e la montagna. Una storia antica, quella dell’olivicoltura in Abruzzo, testimoniata dal recente recupero di un grande olivo nell’orto dell’abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia, in provincia di Chieti, della veneranda età di oltre 1700 anni. L’Abruzzo vanta più di 50.000 ettari di superficie “olivetata”, insieme ai vigneti, la cartolina più rappresentativa del territorio collinare. Nella provincia di Pescara -prevalentemente nel cosiddetto “triangolo d’oro” di Loreto Aprutino, Pianella e Moscufo e nella Val Pescara- la DOP Aprutino-Pescarese, la prima a essere riconosciuta in Europa nel 1996. In provincia di Chieti, dove si concentra circa il 65% della produzione regionale, c’è invece la DOP Colline Teatine con le sottozone Frentana e Vastese. Ultima nata è la DOP Pretuziano Colline Teramane con le sue varietà locali Tortiglione e Castiglionese che vengono coltivate lungo le colline litoranee e per circa 25-30 km verso l’interno quasi fin sotto il Gran Sasso.
Olio Extravergine d’Oliva d’Abruzzo: storia, territorio e qualità
L’Olio Extravergine d’Oliva d’Abruzzo rappresenta una delle eccellenze mediterranee più antiche e radicate della regione, capace di modellare da secoli il paesaggio tra mare e montagna. La sua storia millenaria è testimoniata, tra l’altro, dal ritrovamento di un imponente olivo ultramillenario nell’orto dell’Abbazia di San Giovanni in Venere a Fossacesia, in provincia di Chieti, stimato oltre 1700 anni di età. Con più di 50.000 ettari di oliveti distribuiti tra colline e vallate, l’Abruzzo unisce alla bellezza del territorio la qualità dei suoi prodotti, che oggi godono di importanti riconoscimenti DOP. Nella provincia di Pescara, nel “triangolo d’oro” di Loreto Aprutino, Pianella e Moscufo e nella Val Pescara, spicca la DOP Aprutino-Pescarese, prima in Europa ad ottenere il riconoscimento nel 1996; in provincia di Chieti, dove si concentra circa il 65% della produzione regionale, domina la DOP Colline Teatine con le sottozone Frentana e Vastese, mentre la più recente DOP Pretuziano Colline Teramane valorizza varietà locali come Tortiglione e Castiglionese, coltivate lungo le colline litoranee fino quasi alle pendici del Gran Sasso. Questo olio, frutto di tradizione, passione e attenzione artigianale, unisce storia, biodiversità e sapore, incarnando l’identità più autentica dell’Abruzzo.
Tra le specialità dolciarie una menzione particolare merita il Parrozzo, moderna versione dell’antico ‘pane rozzo’ preparato dai contadini con il granturco. La vocazione dolciaria di Luigi D’Amico e l’ispirazione di Gabriele D’Annunzio (che creò il nome) sono all’origine di questo dolce prelibato in cui il giallo del granturco è riprodotto dalle uova dell’impasto, lo scuro della cottura in forno a legna è evocata dalla copertura di cioccolato e la farina di mandorle pregiate dà quel tocco di dolceamaro che lo rende inimitabile.
Il Parrozzo: il dolce simbolo dell’Abruzzo
Il Parrozzo è una delle specialità dolciarie più celebri dell’Abruzzo, nato come moderna reinterpretazione dell’antico “pane rozzo” dei contadini, preparato originariamente con farina di granturco. La sua creazione è frutto dell’ingegno di Luigi D’Amico, pasticcere di Pescara, e dell’ispirazione di Gabriele D’Annunzio, che coniò il nome evocativo. Questo dolce si distingue per l’elegante contrasto cromatico e gustativo: il giallo intenso del granturco viene richiamato dalle uova nell’impasto, mentre la copertura di cioccolato ricorda il colore scuro della cottura a forno, e la farina di mandorle pregiate regala quel delicato equilibrio tra dolce e amaro che rende il Parrozzo unico e inimitabile. È un simbolo della pasticceria abruzzese, capace di coniugare tradizione, territorio e raffinatezza in un morso che racconta la storia e la cultura della regione.
Un rebus, com’è ovvio, voler attribuire a qualcuno in particolare la paternità del primo impasto di grano polverizzato ad acqua, e poi di aver pensato ad essiccarlo per necessità di conservazione e comodità di trasporto. La pasta secca abruzzese, a partire dalla ‘culla’ di Fara San Martino, a ridosso della Majella, è leader nel mondo per qualità e diffusione. L’acqua, l’aria, la sapienza della tradizione, le trafile in bronzo, l’essiccazione lenta e a basse temperature, i processi di lavorazione, il controllo delle materie prime (semole di grano di prima qualità innanzitutto)… ecco i semplici segreti della pasta abruzzese. Accanto a marchi notissimi, nei negozi abruzzesi potete acquistare prodotti eccellenti di molte piccole e medie aziende semi-artigiane che sono sulla tavola dei gourmet e nei grandi ristoranti di tutto il mondo.
La Pasta Secca Abruzzese: eccellenza e tradizione riconosciuta nel mondo
La pasta secca abruzzese rappresenta una delle eccellenze gastronomiche italiane più apprezzate a livello internazionale, frutto di tradizione, territorio e maestria artigianale. Sebbene sia impossibile attribuirne la paternità a un singolo inventore, la produzione di qualità ha trovato la sua culla a Fara San Martino, ai piedi della Majella, da dove è partita la fama mondiale della pasta abruzzese. L’eccellenza deriva da ingredienti e tecniche accuratamente controllati: semole di grano di prima scelta, acqua pura e aria delle montagne, trafile in bronzo, lavorazione lenta e attenta, essiccazione a basse temperature. Questo insieme di fattori conferisce alla pasta una consistenza, un gusto e una capacità di trattenere i sughi che ne fanno un prodotto unico. Accanto ai marchi più noti, molte piccole e medie aziende semi-artigiane offrono prodotti d’eccellenza, apprezzati dai gourmet e serviti nei grandi ristoranti del mondo, mantenendo viva la tradizione abruzzese e il legame profondo tra territorio e qualità.
Le “polpette con le uova e il formaggio” sono un piatto povero e buonissimo della tradizione. Si preparano facendo un impasto con poca mollica di pane, formaggio pecorino poco stagionato sbriciolato o grattugiato grossolanamente e uova sbattute bene: 6-7 uova ogni 500 grammi di formaggio. Poi un poco di prezzemolo tritato finemente. Le polpette si friggono in olio extravergine (o un buon olio di semi di arachide) a media temperatura. Nel frattempo è pronta la salsa di pomodoro: leggera, con poca cipolletta (preparata in una padella larga) a stufare e i pomodori (magari freschi in stagione o in bottiglia) a scaldarsi dieci minuti. Ora è il momento di scendere le polpette nella salsa ad insaporirsi ed insaporire per altri dieci minuti.
Pallotte Cace e Ove: il gusto autentico della tradizione abruzzese
Le Pallotte Cace e Ove, letteralmente “polpette di formaggio e uova”, sono un piatto povero ma straordinariamente gustoso della tradizione abruzzese, simbolo della creatività contadina nel trasformare ingredienti semplici in vere prelibatezze. La preparazione inizia con un impasto a base di poca mollica di pane, formaggio pecorino fresco o poco stagionato sbriciolato o grattugiato grossolanamente e uova sbattute, in proporzione di circa sei-sette uova ogni 500 grammi di formaggio, arricchito con prezzemolo tritato finemente. Le polpette vengono quindi fritte in olio extravergine o in un buon olio di semi a temperatura moderata fino a doratura. Parallelamente si prepara una salsa di pomodoro leggera, con poca cipolla stufata e pomodori freschi di stagione o in bottiglia, lasciati insaporire brevemente. Una volta pronte, le pallotte vengono immerse nella salsa, dove continuano a cuocere per altri dieci minuti, acquisendo aroma e morbidezza. Il risultato è un piatto semplice, ricco di sapore e carattere, perfetto esempio della cucina abruzzese, capace di trasformare prodotti locali umili in un’autentica esperienza gastronomica.
È uno dei tanti ‘cugini’ ascritti alla prolifica famiglia dei Trebbiani. Faceva parte da un pezzo del magma ampelografico (vigne miste, con vari vitigni, parenti stretti e non, coesistenti nello stesso appezzamento) che ha caratterizzato a lungo la viticoltura contadina della ‘pancia’ d'Italia e ha messo casa in particolare a cavallo del Tronto, sia sui colli della sponda marchigiana che di quella abruzzese. Proprio in Abruzzo, le sue caratteristiche (media acidità, ma buona struttura; aromi fruttati, più che floreali, orientati tra mela matura e banana, e interessanti nuance speziate) ne hanno fatto uno dei ‘recuperi’ di maggior interesse degli ultimi tempi. Innestato in vigneti dedicati e seguito con cura anche nelle risorte (e rampanti) aree da vino in zona Tirino (oltre che sui colli pre-adriatici), si è rapidamente guadagnato un posto al sole. Ed è oggi una delle novità più seguite del panorama enoico regionale.
Pecorino: il bianco abruzzese tra tradizione e rinascita
Il Pecorino è uno dei vitigni bianchi più interessanti dell’Abruzzo, appartenente alla vasta famiglia dei Trebbiani e da sempre parte del mosaico ampelografico delle vigne contadine, dove varietà diverse convivevano nello stesso appezzamento. Coltivato soprattutto a cavallo del Tronto, sia sui colli della sponda marchigiana che su quelli abruzzesi, questo vitigno ha trovato nel territorio abruzzese condizioni ideali per esprimere le sue caratteristiche uniche: media acidità bilanciata da buona struttura, aromi fruttati dominati da note di mela matura e banana, e delicate sfumature speziate. Negli ultimi anni il Pecorino è stato protagonista di un vero e proprio recupero, grazie a innesti in vigneti dedicati e a una gestione attenta nelle rinate aree viticole della zona del Tirino e dei colli pre-adriatici. Il risultato è un bianco di grande freschezza ed eleganza, capace di conquistare appassionati e operatori del settore, e oggi considerato una delle novità più promettenti e seguite del panorama enologico abruzzese.
Ogni piccolo produttore ha la sua tecnica e i suoi piccoli segreti, compreso l’utilizzo e la preparazione del caglio, ancora oggi tramandati all’interno dei nuclei familiari. Tante le aree particolarmente vocate, con nomi che sono un vero e proprio marchio di fabbrica e garanzia di naturalità, autenticità e bontà: Atri, Scanno, Pizzoli. Una citazione a parte merita il pecorino di Farindola: formaggio derivato del latte di pecore allevate nel versante orientale del Gran Sasso, a Farindola e in altri comuni limitrofi. Il latte è lavorato a crudo, in forme da 1 a 2 kg, con la particolarità del caglio usato per ottenere il formaggio: si ottiene, infatti, dallo stomaco del suino. Le forme, durante la stagionatura, vengono rivoltate e massaggiate (tradizionalmente dalle donne) e bagnate con olio di oliva extravergine e aceto per prevenire la formazione di muffe e non far seccare eccessivamente il formaggio. È presidio Slow Food.
Pecorino Abruzzese: tradizione e sapore tra montagne e pascoli
Il Pecorino abruzzese è un formaggio che racchiude secoli di tradizione e la sapienza dei piccoli produttori, ognuno dei quali custodisce tecniche e segreti tramandati di generazione in generazione, compresa la preparazione del caglio. Diverse sono le aree particolarmente vocate, che rappresentano un vero marchio di qualità e autenticità, tra cui Atri, Scanno e Pizzoli. Particolare rilievo merita il Pecorino di Farindola, ottenuto dal latte di pecore allevate nel versante orientale del Gran Sasso, a Farindola e nei comuni limitrofi. Il latte viene lavorato a crudo e trasformato in forme da 1 a 2 kg, utilizzando un caglio speciale ricavato dallo stomaco del suino, che conferisce al formaggio un carattere unico. Durante la stagionatura le forme vengono regolarmente rivoltate, massaggiate tradizionalmente dalle donne e cosparse con olio extravergine d’oliva e aceto, per prevenire muffe e preservare la giusta morbidezza. Riconosciuto come Presidio Slow Food, il Pecorino abruzzese è un prodotto che unisce autenticità, sapore e tradizione, espressione genuina dei pascoli e delle comunità montane della regione.
Ricetta bandiera della gastronomia teramana, riassume in un cerchio teso e sottile di pasta porosa l'altro cerchio, storico e magico, che lega la colta cucina medicea, migrata a Parigi e rimpatriata qui come francese, a quella di Teramo, che ne ha mixato i tratti curtensi con la feconda sapidità delle radici contadine e montane. La scrippella crespella-crêpe riannoda già nel nome il percorso. Si fa legando dolcemente farina e uova battute (2 cucchiai rasi a uovo), diluendo con acqua, aggiustando di sale, e cuocendo delicatamente dai due lati in padellino (20-25 cm) appena unto (la tradizione dice lardo) un velo fine d'impasto. Elastiche, dorate, le scrippelle riposeranno un po' mentre si ultima il più classico dei brodi (ala di tacchino, muscolo, manzo, odori). Saranno poi cosparse su una faccia con formaggio a fili, speziate di cannella e arrotolate. Poste nelle scodelle, vanno servite annegate ('mbusse) nel brodo caldo versatovi su, e rifinite a piacere con altro cacio.
Scrippelle ‘mbusse: il simbolo della cucina teramana
Le Scrippelle ‘mbusse sono un vero emblema della gastronomia teramana, capaci di racchiudere in un sottile e delicato disco di pasta l’incontro tra cultura e tradizione. Questo piatto, che richiama per nome e tecnica le crêpes della cucina medicea migrata a Parigi e reinterpretata a Teramo, unisce l’eleganza delle origini colte ai sapori intensi delle radici contadine e montane. L’impasto si ottiene mescolando farina e uova battute, diluendo con acqua e aggiustando di sale, quindi versando un velo sottile in un padellino leggermente unto, tradizionalmente con lardo, fino a ottenere dischi elastici e dorati. Le scrippelle riposano brevemente mentre si prepara un brodo ricco, con ala di tacchino, muscolo di manzo e odori aromatici. Successivamente vengono cosparse di formaggio a fili, leggermente speziate con cannella e arrotolate, per poi essere sistemate nelle scodelle e “annegate” nel brodo caldo, con un’ulteriore spolverata di cacio a completare il piatto. Il risultato è un connubio di delicatezza e sapidità, un piatto capace di raccontare storia, territorio e sapori autentici dell’Abruzzo.
Dolce simbolo di Guardiagrele: “tre monti” di pan brioche farciti di crema e spolverati (come fosse neve) di finissimo zucchero a velo. Fin qui la nota gastronomica, legata al nome della famiglia Palmerio e ad una seconda pasticceria, intestata alla famiglia Lullo “successore di Filippo Palmerio” come riportato nell’insegna. È però nella sua originalità, nella sua storia, nelle seduzioni, nelle evocazioni il lato più intrigante e fascinoso: materno ed infantile, maliziosamente erotico, rituale e simbolico, pagano e sacro nello stesso tempo. Ma come si mangiano? Il vero, elegante amante delle sise, le affronta in modo infantile, senza remore, e nell’operazione imbianca naso, labbra e mento ed è deliziosamente costretto a leccarsi tutt’ intorno le labbra, i ”baffi”, ripercorrendo gesti infantili, innocenti.
Le Sise de Mònache: il dolce simbolo di Guardiagrele
Le Sise de Mònache sono un dolce iconico di Guardiagrele, caratterizzato da tre morbidi monticelli di pan brioche farciti di crema e cosparsi di finissimo zucchero a velo, come neve. La ricetta, legata storicamente alla famiglia Palmerio e successivamente alla pasticceria Lullo, tramandata come eredità di Filippo Palmerio, rappresenta non solo una specialità gastronomica, ma anche un simbolo di tradizione, creatività e cultura locale. La sua originalità risiede nella capacità di evocare emozioni: materne e infantili, rituali e simboliche, con una sottile ironia che intreccia innocenza e piacere sensoriale. Gustarle richiede un approccio autentico: i veri amanti delle Sise de Mònache le assaporano senza riserve, lasciandosi coinvolgere dal gesto quasi giocoso di intingere e assaporare la crema e lo zucchero, che imbianca labbra e mento, riportando alla memoria gesti semplici e infantili, e trasformando ogni boccone in un’esperienza di gusto e piacere pienamente immersiva.
Storica ricetta per conservare il pesce, per destinarlo alle zone montane o ai lunghi periodi di magra. L’origine è spagnola: “Escabece” e gli ultimi artigiani vastesi. C’è la razza, il palombo… fritti, asciugati e lasciati raffreddare; l’aceto, il vino bianco, lo zafferano aquilano sono il liquido per la conservazione (e l’esaltazione del sapore) in botti di legno di rovere o recipienti di terracotta smaltata. Squisitissimo cibo, con il fascino delle cose destinate a scomparire per sempre.
Lo Scapece: tradizione e sapore della cucina marinara abruzzese
Lo Scapece è una ricetta storica della tradizione abruzzese, ideata per conservare il pesce e renderlo disponibile anche nelle zone montane o durante i lunghi periodi di magra. Di chiara origine spagnola, dal termine “Escabece”, è arrivata lungo i secoli fino agli ultimi artigiani vastesi, custodi di questa preparazione unica. Tipici ingredienti sono la razza e il palombo, fritti, asciugati e lasciati raffreddare, poi immersi in una miscela saporita di aceto, vino bianco e lo zafferano aquilano, che ne esalta il gusto e ne garantisce la conservazione, tradizionalmente in botti di legno di rovere o in recipienti di terracotta smaltata. Questo piatto rappresenta non solo un cibo squisito, ma anche un patrimonio gastronomico intriso di storia e fascino, simbolo di sapori autentici destinati a resistere nel tempo nonostante le moderne trasformazioni culinarie.
Da secoli, il merluzzo (Gadus Morhua) è essiccato ai venti del nord o salato. Il pesce lasciato essiccare per la conservazione è conosciuto con il nome di stoccafisso; quello invece salato (sicuramente più comodo e facile da reperire ma spesso di qualità inferiore) prende il nome di baccalà. Il merluzzo conservato non era considerato nel passato uno status symbol gastronomico, roba da gourmet, era un piatto povero e a buon mercato, tanto che, in Abruzzo, era chiamato “la carne dei poveri”. Dalla Val Vibrata al chetino, dall’aquilano all’entroterra pescarese è un fiorire di ricette tradizionali di cui citiamo, per brevità di spazio, solo le più conosciute: baccalà con cipolle (tante) e pomodoro; linguine con pomodoro leggero e baccalà; in umido con l’uvetta e le prugne secche o fritto in pastella (natalizio); tortino di baccalà mantecato; in tortiera al forno con le patate.
Stoccafisso e Baccalà: la tradizione abruzzese del merluzzo
In Abruzzo, il merluzzo (Gadus morhua) ha da secoli un ruolo centrale nella cucina tradizionale, conservato per lungo tempo tramite essiccazione o salatura. Il pesce essiccato ai venti del Nord prende il nome di stoccafisso, mentre quello salato, più facilmente reperibile ma spesso di qualità inferiore, è chiamato baccalà. Un tempo alimento povero e accessibile, tanto da essere soprannominato “la carne dei poveri”, il merluzzo ha saputo conquistare un posto di rilievo nelle tavole abruzzesi, grazie alla versatilità delle sue preparazioni. Dalla Val Vibrata al Chietino, dall’Aquilano all’entroterra pescarese, il baccalà si trasforma in piatti saporiti e ricchi di storia: cucinato con abbondante cipolla e pomodoro, in umido con uvetta e prugne secche, al forno con patate, fritto in pastella durante le festività natalizie, o mantecato a tortino. Ogni ricetta racconta la capacità della tradizione abruzzese di valorizzare ingredienti semplici, conferendo a questo pesce un fascino gastronomico che continua a sorprendere e deliziare.
Il tacchino alla canzanese è un piatto tipico del territorio della provincia di Teramo, in Abruzzo, in particolare di Canzano, da cui prende il nome. Fa parte dei Prodotti agroalimentari tradizionali abruzzesi. Il tacchino viene servito freddo, insieme alla gelatina ottenuta facendo riposare e raffreddando il brodo di cottura dello stesso. L'animale, pulito, disossato e cucito per evitarne il disfacimento, viene sottoposto a una lunga cottura in acqua insieme con le ossa frantumate. Al termine il brodo di cottura, filtrato e raffreddato, si trasforma in gelatina. Questa pietanza è diffusa e commercializzata in tutto il teramano, anche se la ricetta industriale differisce da quella tradizionale.Il Tacchino alla Canzanese
Il Tacchino alla Canzanese è uno dei prodotti di qualità più rappresentativi dell’Abruzzo, un’eccellenza gastronomica radicata nel territorio teramano e legata in modo particolare al borgo di Canzano, da cui prende il nome. Questo piatto tradizionale, riconosciuto tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali abruzzesi, è celebre per la sua preparazione lenta e accurata, che trasforma il tacchino in una pietanza fresca, elegante e ricca di sapore. L’animale viene pulito, disossato e cucito con cura per mantenerne la forma, quindi cotto a lungo in acqua insieme alle ossa frantumate, da cui si ottiene un brodo intenso e ricco di collagene. Una volta filtrato e lasciato raffreddare, il brodo si solidifica naturalmente in una gelatina limpida e aromatica, che accompagna la carne tagliata a fette e servita fredda. Sebbene oggi il Tacchino alla Canzanese sia ampiamente diffuso e commercializzato in tutto il territorio teramano, le versioni industriali presentano differenze rispetto alla ricetta tramandata nelle famiglie locali, che mantiene intatte le tecniche e i sapori della tradizione.
Una recente indagine svolta dall’Agenzia Regionale di Sviluppo Agricolo ha censito le tartufaie naturali presenti sul territorio abruzzese. I risultati sono sorprendenti: 219 i siti produttivi di Tuber magnatum Pico; 175 quelli di Tuber melanosporum (il nero pregiato); 381 quelli di Tuber aestivum (lo ‘scorzone) e uncinatum e, infine, 109 quelli di Tuber borchii (il bianchetto). Per non parlare delle tartufaie coltivate, un’attività in espansione grazie anche agli incentivi regionali e alla migliorata formazione dei tartuficoltori. L’Abruzzo, insomma, è una delle regioni più ricche di aree tartufigene (una stima parziale si aggira intorno ai 500 quintali), la cui produzione viene in gran parte commercializzata in altre regioni ed aree che hanno meglio saputo creare un ‘marchio’ intorno al tartufo. Ma qualcosa si sta muovendo. Stanno nascendo associazioni di tartuficoltori e cercatori volti alla salvaguardia del territorio (una delle piaghe è la raccolta precoce, abusiva e indiscriminata che distrugge e rende improduttive le tartufaie) e alla valorizzazione del prodotto nei confini regionali, garantendo regole certe, qualità garantita e prezzi competitivi. Già oggi i piatti stagionali a base di tartufo (nella ristorazione, negli agriturismi) sono una delle tipicità più apprezzate. Certamente, in futuro, questa impagabile ricchezza del territorio troverà un rilancio ed una ulteriore valorizzazione.
I Tartufi: il tesoro nascosto dell’Abruzzo
L’Abruzzo si conferma tra le regioni italiane più ricche di tartufi, con un patrimonio naturale straordinario che spazia tra tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum Pico), tartufo nero (Tuber melanosporum), scorzone estivo (Tuber aestivum e uncinatum) e bianchetto (Tuber borchii). Una recente indagine dell’Agenzia Regionale di Sviluppo Agricolo ha censito sul territorio 219 siti di Tuber magnatum, 175 di Tuber melanosporum, 381 di Tuber aestivum e 109 di Tuber borchii, senza contare le tartufaie coltivate, in crescita grazie agli incentivi regionali e alla formazione sempre più qualificata dei tartuficoltori. Gran parte della produzione viene oggi commercializzata in altre regioni, dove il tartufo ha saputo costruire un forte ‘marchio’, ma in Abruzzo si stanno moltiplicando associazioni di cercatori e produttori volte a tutelare le tartufaie naturali e a valorizzare localmente il prodotto, garantendo qualità, regole certe e prezzi competitivi. Questa ricchezza si riflette già nei piatti stagionali proposti da ristoranti e agriturismi, dove il tartufo è celebrato come eccellenza regionale, e lascia intravedere un futuro di ulteriore rilancio e prestigio per uno dei tesori gastronomici più preziosi dell’Abruzzo.
Ulisse Nurzia passava nottate intere nel suo piccolo laboratorio dolciario, sperimentando e inventando consistenze, gusti e sapori nuovi, moderni. Nacque così il "Torrone tenero al cioccolato" che si rivelò come una vera rivoluzione nel campo dei torroni. Nobilitò il prodotto, simile al torrone bianco tipo Cremona, aggiungendo il cacao a ingredienti semplici come le nocciole o le mandorle, il miele e il bianco d'uovo per l’ostia di copertura. Un torrone moderno ed equilibrato in tutte le sue caratteristiche organolettiche: l’amaro del cacao bilanciato dal miele e dal gusto appena amarognolo e gustoso delle nocciole tostate. Un vero successo destinato a durare nel tempo: un pugno di aziende, piccole e grandi e ognuna con la sua personale ricetta, tengono viva questa secolare tradizione.
Il Torrone tenero aquilano: tradizione e innovazione dolciaria
Il Torrone tenero aquilano nasce dall’ingegno e dalla passione di Ulisse Nurzia, che nel suo piccolo laboratorio trascorreva nottate intere a sperimentare consistenze, sapori e combinazioni innovative. Da queste ricerche è nato il celebre “Torrone tenero al cioccolato”, una vera rivoluzione nel mondo dei torroni, che ha nobilitato la tradizione simile al torrone bianco di Cremona introducendo il cacao accanto a ingredienti semplici ma pregiati come nocciole o mandorle, miele e bianco d’uovo per l’ostia di copertura. Il risultato è un torrone moderno, equilibrato in tutte le sue caratteristiche organolettiche: l’amaro del cacao si armonizza con la dolcezza del miele e con il leggero retrogusto tostato delle nocciole, creando un prodotto unico e apprezzato. Ancora oggi, poche aziende, tra piccole e grandi, mantengono viva questa tradizione secolare, ciascuna con la propria ricetta, garantendo qualità, autenticità e il fascino di un dolce che è diventato simbolo della dolciaria aquilana.
È l’”altra” uva abruzzese d'impatto per fama e quantità prodotte, il brand bianco della regione. Il vino ottenutone (85% di apporto minimo) in aree vocate delle quattro province è a Doc dal 1972. Detta anche Bombino (nome antico, oggetto di varie ipotesi e leggende), trasfonde il proprio Dna in vini dalle consolidate stimmate di freschezza e nettezza, piacevoli e gradevolmente fruttati. Ma ha anche adattabilità straordinaria a ‘terroir’ e metodi d'allevamento in vigna. Anch'essa sa dunque salire da aree premarine fino a quota 500-600 metri, mentre rigetta i fondivalle umidi (peraltro esclusi dalle regole della Doc). Vino trasversale e amichevole per definizione, sa però sbalordire nelle sue espressioni più felici ed elitarie: alcuni Trebbiano abruzzesi (e il numero cresce, in linea con il trend della qualità media) sono capaci infatti di complessità e longevità tali da spiazzare e conquistare anche i più accorti conoscitori, e sfidare prodotti dai celebrati quarti di nobiltà enoica.
Il Trebbiano d’Abruzzo: il bianco simbolo della regione
Il Trebbiano d’Abruzzo rappresenta una delle uve bianche più importanti della regione, per fama e quantità prodotte, e costituisce un vero e proprio brand enologico abruzzese. Questo vino, ottenuto da almeno l’85% di Trebbiano coltivato in aree vocate delle quattro province, è a DOC dal 1972 ed è noto anche con l’antico nome di Bombino, avvolto in leggende e ipotesi storiche. Caratterizzato da freschezza, nettezza e piacevoli note fruttate, il Trebbiano mostra un’adattabilità straordinaria ai diversi terroir e ai metodi di allevamento in vigna, riuscendo a crescere dai terreni premarini fino a 500-600 metri di altitudine, pur evitando i fondivalle umidi esclusi dal disciplinare. Vino amichevole e versatile per definizione, sa però rivelare anche espressioni di grande raffinatezza: alcune produzioni selezionate raggiungono complessità e longevità tali da sorprendere gli intenditori più esperti, sfidando con eleganza altri celebri vini bianchi di rango internazionale e confermando il Trebbiano d’Abruzzo come una delle eccellenze enologiche della regione.
Nella zona collinare e pedemontana denominata del medio ed alto vastese, la maialatura ha assunto, nel corso dei secoli, una tradizione a spiccato carattere locale. Questa è la patria di un insaccato davvero particolare: di lunga stagionatura e generosa pezzatura, composto con le parti più nobili del maiale, rigorosamente tagliate in punta di coltello. Si presenta di grosso calibro e di grana grande, con la caratteristica forma ovoidale, l’interno di colore rosso arancio (grazie all’apporto nell’impasto di peperone rosso secco tritato dolce e piccante, con semi di finocchio selvatico e un pochino di pepe) ed un sapore soavemente piccante. I tagli di carne impiegati sono per il 70% di tagli magri (di cui almeno 80% prosciutto e lombo) e per il 30% pancetta e grasso prosciutto. Dopo l’insaccamento nel budello, segue il periodo di stagionatura, non inferiore a cento giorni. È stato il primo tra i Presidi Slow Food abruzzesi.
La Ventricina del Vastese: il salume simbolo delle colline abruzzesi
Nel cuore del medio e alto Vastese, tra colline e pedemonti, la maialatura ha da secoli una tradizione profondamente radicata, che ha dato vita a uno degli insaccati più rappresentativi dell’Abruzzo: la Ventricina del Vastese. Questo salume di lunga stagionatura si distingue per le dimensioni generose e la pezzatura importante, realizzato con le parti più nobili del maiale, rigorosamente tagliate a punta di coltello per preservarne la grana e il gusto. Di forma ovoidale e di calibro consistente, il suo interno assume un colore rosso-arancio grazie all’aggiunta nell’impasto di peperone rosso secco tritato, dolce e piccante, aromatizzato con semi di finocchio selvatico e un pizzico di pepe, che conferiscono al prodotto un sapore delicatamente piccante. L’equilibrio dei tagli di carne è studiato con cura: circa il 70% magro – di cui almeno l’80% tra prosciutto e lombo – e il 30% composto da pancetta e grasso di prosciutto. Dopo l’insaccamento nei budelli naturali, la ventricina segue un periodo di stagionatura minimo di cento giorni, sviluppando aromi complessi e persistenti. Primo tra i Presidi Slow Food abruzzesi, rappresenta una vera eccellenza gastronomica del territorio, simbolo della tradizione, della sapienza artigianale e della cultura alimentare del Vastese.
Si tratta di un delizioso salume fresco da spalmare (in questo parente del territorialmente prossimo ciaùscolo ascolano), prodotto nel teramano con carne e grasso di suino macinati molto finemente, con l’aggiunta di sale, aglio, pepe bianco e nero macinati, peperoncino dolce e piccante, pasta di peperoni, semi di finocchio, rosmarino e buccia d'arancia. Viene conservato nel budello di maiale ma si può anche trovare in barattoli. La morte sua? Semplicemente spalmata su una fetta di pane abbrustolito.
La Ventricina teramana: il salume fresco da spalmare dell’Abruzzo
La Ventricina teramana è uno dei salumi freschi più apprezzati della provincia di Teramo, strettamente imparentata con il famoso ciauscolo ascolano. Realizzata con carne e grasso di suino macinati finemente, viene insaporita con un mix di sale, aglio, pepe bianco e nero, peperoncino dolce e piccante, pasta di peperoni, semi di finocchio, rosmarino e buccia d’arancia, che le conferiscono un aroma intenso e complesso. Tradizionalmente conservata nel budello di maiale, la ventricina teramana è oggi disponibile anche in barattoli, mantenendo intatta la freschezza e la spalmabilità che la rendono unica. Il suo modo migliore di essere gustata è semplice e diretto: spalmata su una fetta di pane abbrustolito, sprigiona tutto il sapore autentico della tradizione gastronomica abruzzese.
Le Virtù sono il piatto principe della cucina teramana. Piatto che nasce dalla necessità di consumare, con l’inizio della primavera, tutto ciò che resta nella dispensa della famiglia contadina, previdente e risparmiosa per necessità durante la brutta stagione. Una necessità che diventa virtù e festa, condivisione e rito collettivo. Un rito che si festeggia il primo maggio nelle case, nei ristoranti e nelle piazze di Teramo e di tutti i centri vicini. Simbolicamente diventa una festa della primavera e della voglia di cancellare le durezze e i sacrifici dell’inverno. Non è il caso, in poco spazio, nemmeno di accennare la ricetta (e le infinite varianti). Basti dire che le Virtù sono una sorta di minestrone con ortaggi, verdure, legumi, erbe ed erbette aromatiche, carni e paste di vario tipo; che quasi tutti ingredienti hanno tempi di cottura i più diversi e vanno preparati a parte; che l’impresa può durare anche tre giorni. Solo alla fine si procede alla cottura, sempre separata, dei vari tipi di pasta e all’amalgama finale. E in un solo boccone si brucia il risparmio di un anno e la fatica di più giorni. Anche per questo è un piatto di rara bontà.
Le Virtù teramane: il minestrone che celebra la primavera
Le Virtù teramane rappresentano il piatto simbolo della cucina di Teramo, nato dalla sapienza contadina di trasformare in festa ciò che rimaneva nella dispensa all’inizio della primavera, dopo i lunghi mesi invernali di sacrifici e parsimonia. Questo piatto, che unisce ortaggi, legumi, erbe aromatiche, carni e diverse tipologie di pasta, richiede una preparazione meticolosa: ogni ingrediente, spesso con tempi di cottura molto diversi, viene trattato separatamente per poi essere armonizzato nella cottura finale, un lavoro che può durare anche tre giorni. Le Virtù non sono solo un’espressione gastronomica, ma un vero e proprio rito collettivo e simbolico, celebrato il primo maggio nelle case, nei ristoranti e nelle piazze del Teramano e dei centri limitrofi, trasformando la necessità di risparmio in convivialità, condivisione e gioia. In ogni boccone si percepisce il sapore della pazienza, della cura e della tradizione, rendendo questo minestrone un capolavoro di bontà e identità regionale.
“Zafferano dell’Aquila”. Così si chiama, da più di seicento anni, la spezia-droga che si ottiene dalla raccolta e dall’essiccazione degli stimmi (o pistilli) del fiore del “Crocus Sativus” nell’Abruzzo aquilano ed in particolare nella piana di Navelli dove lo zafferano ha trovato la sua ideale dimora. In Agosto si trapiantano i bulbi nelle aiuole preparate nei campi. A metà Ottobre inizia la fioritura che dura circa venti giorni, fino all’inizio di Novembre. I fiori vengono raccolti la mattina presto, prima che il sole li apra. Poi si procede alla sfioritura, cioè all’asportazione degli stimmi che vengono messi ad asciugare mediante tostatura. Con la tostatura gli stimmi perdono i 5/6 del loro peso: con 600 grammi di stimmi freschi si ottengono appena 100 grammi di stimmi secchi. Nel vasetto da un grammo quindi, c’è il prodotto della raccolta di duecento fiori. C’è tanto lavoro, prima, dopo e durante la raccolta, ma ne vale davvero la pena perché parliamo di una qualità eccezionale, di profumi e sapori unici. I fili di zafferano vanno fatti rinvenire in un poco di acqua tiepida o brodo prima del loro utilizzo in cucina, per il tradizionale risotto o per le tipiche ricette abruzzesi: primi piatti con l’agnello o i gamberi di fiume; con le carni ovine o da cortile; nei dolci o ad impreziosire formaggi e latticini.
Lo Zafferano dell’Aquila Dop: oro rosso dell’Abruzzo
Lo Zafferano dell’Aquila Dop è una delle spezie più pregiate e antiche d’Italia, coltivata da oltre seicento anni nella piana di Navelli e in altre zone dell’Abruzzo aquilano, dove il terreno e il clima hanno trovato la loro perfetta combinazione. La produzione inizia ad agosto con il trapianto dei bulbi di Crocus sativus nei campi preparati a regola d’arte; a metà ottobre la fioritura si apre per circa venti giorni, e i fiori vengono raccolti all’alba, prima che il sole ne apra i petali. Seguono la sfioritura e l’essiccazione degli stimmi, operazioni delicate che comportano una drastica riduzione del peso: da 600 grammi di stimmi freschi si ottengono solo 100 grammi di stimmi secchi, il che significa che in un vasetto da un grammo sono concentrati gli stimmi di circa duecento fiori. Questo lungo e paziente lavoro garantisce una qualità eccezionale, con profumi intensi e sapori unici, esaltando ogni preparazione culinaria: dai risotti ai primi piatti con agnello o gamberi di fiume, dalle carni ovine e da cortile ai dolci e ai formaggi, rendendo lo zafferano dell’Aquila un vero tesoro gastronomico dell’Abruzzo.
  Info: Consorzio per la tutela dello zafferano dell’Aquila
I maccheroni alla chitarra con pallottine alla pescarese sono uno dei piatti più rappresentativi della gastronomia abruzzese, simbolo della cucina casalinga della provincia di Pescara. La pasta, tirata a mano con lo speciale strumento chiamato “chitarra”, acquista una consistenza perfetta per trattenere il sugo, mentre le pallottine, piccole polpette di carne aromatizzate con erbe locali e cotte in un delicato sugo di pomodoro, esaltano il sapore genuino degli ingredienti del territorio. Questo piatto, ricco e sostanzioso, nasce dalla tradizione contadina ma è diventato un classico delle tavole abruzzesi, capace di unire semplicità e raffinatezza, raccontando attraverso ogni forchettata la storia, la passione e l’autenticità della cucina di casa.

La Cucina Tradizionale in Provincia di Pescara
La cucina tradizionale della provincia di Pescara racchiude l’essenza della gastronomia abruzzese, dove la semplicità degli ingredienti locali si trasforma in piatti dal gusto autentico e conviviale. Nelle aree collinari e montane prevalgono le ricette contadine come la zuppa di verdure e legumi, i maccheroni alla chitarra con sugo di carne e le pietanze a base di agnello e maiale, simboli di una cucina sostanziosa e genuina. Lungo la costa, invece, il mare Adriatico offre pesce fresco che diventa protagonista di preparazioni tradizionali come il brodetto alla pescarese, dal sapore intenso e armonioso. I prodotti tipici, come l’olio extravergine d’oliva, i vini Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo, e i formaggi artigianali, esaltano i piatti della tradizione. Immancabili i dolci, come le ferratelle e il parrozzo, che raccontano la dolce eredità culturale di un territorio capace di unire mare, collina e montagna in un’unica, inconfondibile identità gastronomica.
Il brodetto alla giuliese è uno dei piatti di mare più celebri della gastronomia abruzzese, capace di coniugare semplicità, gusto e tradizione lungo la costa adriatica. Preparato con pesce fresco locale, crostacei e molluschi, viene cucinato lentamente in un ricco sugo di pomodoro aromatizzato con aglio, prezzemolo e un filo d’olio extravergine d’oliva, che ne esalta i sapori naturali. Questo piatto nasce come alimento popolare dei pescatori, pensato per valorizzare le varietà di pesce reperibili quotidianamente, ma oggi è diventato un vero e proprio simbolo culinario del territorio. Gustare il brodetto alla giuliese significa immergersi nei profumi del mare abruzzese, scoprendo l’equilibrio perfetto tra tradizione, ingredienti freschi e autenticità gastronomica.

La Cucina Tradizionale in Provincia di Teramo
La cucina tradizionale della provincia di Teramo è una delle più caratteristiche dell’Abruzzo, ricca di sapori autentici e di piatti che raccontano una lunga storia di tradizioni contadine e artigianali. Cuore della gastronomia teramana sono le famose virtù, una zuppa complessa preparata con legumi, verdure e paste miste, simbolo di abbondanza e rinnovamento primaverile. Accanto a questa specialità spiccano i maccheroni alla chitarra con pallottine, i timballi di pasta e le ricette a base di agnello, capra e maiale, espressione della cucina delle campagne e dei borghi montani. Nella zona costiera, il pesce dell’Adriatico arricchisce la tavola con il saporito brodetto di Giulianova e le fritture miste. I formaggi, come il pecorino di Farindola, e i vini locali, tra cui il Montepulciano d’Abruzzo, completano un panorama gastronomico di grande pregio. I dolci tradizionali, come le sfogliatelle teramane e i bocconotti, chiudono ogni pasto con la dolcezza tipica di una provincia che fa della cucina un’autentica espressione culturale.
Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio sono un’eccellenza della gastronomia abruzzese, rinomate per il loro sapore intenso e la qualità superiore dovuta alla coltivazione ad alta quota sull’altopiano di Campo Imperatore. Piccole, compatte e dal colore bruno, queste lenticchie crescono in terreni incontaminati e vengono raccolte con metodi tradizionali che ne preservano aroma e proprietà nutritive. Utilizzate in zuppe calde, minestre rustiche o come contorno in piatti tipici, raccontano la storia di una cucina povera ma ricca di gusto, profondamente legata alla stagionalità e alla terra. Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio non sono solo un alimento, ma un simbolo di identità locale, un legame tra cultura, tradizione e passione gastronomica dell’Abruzzo più autentico.

La Cucina Tradizionale in Provincia de L’Aquila
La cucina tradizionale della provincia de L’Aquila rappresenta l’anima più autentica e montana dell’Abruzzo, dove la semplicità degli ingredienti si unisce alla ricchezza dei sapori. In questa terra di pastori e borghi antichi, la tavola è dominata da piatti rustici e genuini come le minestre di legumi, le carni di pecora e di agnello, i formaggi di montagna e le paste fatte a mano. I maccheroni alla chitarra, spesso accompagnati da sughi di carne o d’agnello, incarnano l’essenza della tradizione culinaria aquilana, così come la celebre zuppa di orapi, preparata con gli spinaci selvatici raccolti sui pendii del Gran Sasso. I prodotti tipici come lo zafferano dell’Aquila, le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio e il canestrato di Castel del Monte testimoniano il legame profondo con il territorio e la sua agricoltura di qualità. I dolci, come le ferratelle e i torroni aquilani, completano un patrimonio gastronomico che racconta la storia, la cultura e l’identità di una provincia che custodisce gelosamente le sue radici.
La ventricina vastese è uno dei salumi più caratteristici e apprezzati della gastronomia abruzzese, simbolo della tradizione contadina della provincia di Chieti. Preparata con carne di maiale selezionata e aromatizzata con pepe, peperoncino e altre spezie locali, viene insaccata in budelli naturali e stagionata lentamente per sviluppare profumi intensi e un gusto ricco e avvolgente. Ogni fetta racconta la storia dei borghi e delle campagne abruzzesi, dove la lavorazione artigianale e la pazienza nella stagionatura sono ancora elementi fondamentali. La ventricina vastese si gusta da sola, con pane casereccio, o come ingrediente di piatti tradizionali, rappresentando un legame diretto tra territorio, cultura gastronomica e passione per i sapori autentici dell’Abruzzo.

La Cucina Tradizionale in Provincia di Chieti
La cucina tradizionale della provincia di Chieti è tra le più ricche e varie dell’Abruzzo, capace di unire i sapori intensi della montagna con quelli delicati della costa adriatica. Nei borghi dell’entroterra dominano piatti contadini come le sagne e fagioli, le zuppe di verdure e legumi e le carni di maiale e agnello cucinate secondo antiche ricette familiari. Sulle colline teatine, dove l’olio extravergine e il vino Montepulciano d’Abruzzo sono protagonisti, nascono pietanze dal gusto deciso e armonioso. Lungo la costa, invece, spiccano le specialità di pesce come il brodetto alla vastese, preparato con diverse varietà di pesce fresco e pomodoro, simbolo della tradizione marinara locale. Non mancano i dolci tipici come i celli ripieni e le neole, che esprimono la dolcezza e la creatività della cultura gastronomica teatina. Ogni piatto racconta la storia di un territorio generoso, dove la cucina è ancora oggi il cuore della vita quotidiana e delle feste popolari.
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